Il neolaureato sbotta sui social network e la polemica infiamma la piazza virtuale. Per la verità la sua è una laurea “honoris causa” perché il professor Umberto Eco ne possiede già una in filosofia conseguita qualche annetto fa, precisamente nel ’54. Adesso nell’Aula Magna della Cavallerizza Reale a Torino dopo averne ricevuta un’altra in “Comunicazione e Cultura dei media”, per aver arricchito la cultura italiana e internazionale e contribuito a rinnovare profondamente lo studio della comunicazione e della semiotica, si concede un’esternazione senza peli sulla lingua: «Il villaggio virtuale dei vari Facebook e Twitter è abitato da imbecilli fatti e finiti», in pratica sono gli ex scemi del paese migrati dai tavolini del bar locale, dove si sparavano fesserie a raffica, alla tastiera del pc con davanti una platea ancora più folta di pari loro. Eh sì, caro professore, il simile percepisce il simile come diceva il caro Aristotele che lei certamente conosce meglio di me ed è cosa comune, quasi per azione di una osmosi fisica, che accozzaglie simili di atomi con pari neuroni facciano scopa e celebrino così la potenza irresistibile del pollaio virtuale.
Una specie di casuale klinamen democriteo… ma qui mi taccio, professore, perché potrei rischiare con lei di strozzarmi con la mia stessa corda. Per essere sinceri ho sempre creduto che un falso criterio di democrazia stia dando la stura libera a tutti i cretini della terra, liciter et libenter autorizzati ad aprire bocca e dar fiato. Nella società del “siamo nati imparati” ognuno ritiene di poter esprimere opinioni senza avere neppure idea di quel che sta affermando, di pensare in modo confuso eppure preso a diffondere il suo verbo come distillato di una sapienza pesante, senza affatto curarsi dell’ortografia né delle più elementari regole grammaticali. La sintassi, poi, è cosa da mercato nero. Il protagonismo spadroneggia: c’è chi per raccontare un fatto capace di sbalordire solo se stesso, esordisce: «vi dico la mia testimonianza!…». Al burino inconsapevole manca solo un bel «in verità ti dico» e siamo a posto (mi raccomando staccato…).
Facebook et similia (che solo in pochi usano “cum grano salis”) sembra una invenzione fatta per questo genere di protagonisti del nulla, di questi Soloni con la prima asilo e di un bel numero di persone annoiate in cerca di chissà cosa. Tutti anelanti momenti di gloria sottolineati da foto e post rimasticati cento volte da cento altri con gli “I like” che arrivano come se piovesse… Così il signor nessuno si sente gratificato e può alle due di notte andarsene a letto immaginando di sé cose che altri come lui, o lei, nella medesima condizione stanno vagheggiando. Una macchina infernale che solo un genio poteva concepire annusando i tempi, perché ancora il bello doveva venire e forse deve ancora arrivare. Prevedo che il vaso della stupidità sia assai capiente e vada ancora ben colmato fino all’orlo, anzi forse si vuole proprio che straripi e che la melma prodotta ci lambisca i piedi ed entri nei calzini. Vedremo.
Per l’intanto lo scemo del villaggio, che non ha più misura di sé, dato che proprio togliendo la capacità di giudizio è stato fatto un planetario danno alla povera gente, entra in polemica con Eco e lo attacca. Ora, amici cari, io non lo farei mai perché misuro semplicemente le mie capacità rispetto a quelle dell’illustre professore o di chi chiunque ritenga a me superiore. L’ignorante possente, quello ben piantato nella presunzione becera del suo stato che custodisce in modo strenuo, lui no: entra in polemica. Non saper dare valore agli altri e non creare scale di differenza non solo toglie valore a noi stessi ma è la prova lampante e provata che viviamo in un mondo caduto nella voragine dell’imbecillità. Di chi è la colpa non è facile stabilirlo. Ma resta intatta la questione, che è purtroppo il problema dei problemi.